giovedì 21 dicembre 2006

Fincipit

Un gioco nato sui Blog e approdato a Repubblica invita a terminare nel giro di brevi battute famosi incipit di romanzi, poesie e canzoni. Ecco i miei.


Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Si tolse le scarpe, tirò i remi in barca e si lasciò cadere in mare. Da quel giorno nessuno l'ha più visto.
(Hemingway, Il vecchio e il mare)


Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti un giorno si voltò a settentrione e Manzoni dovette bruciare 600 pagine di romanzo.
(Manzoni, I promessi sposi)


Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Il problema è che se non vi racconto questo non so
cosa dirvi.

(Salinger, Il giovane Holden)


Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude
eppur io so (credete che non son folle)
che v'è oltre il minimalismo delle sarte:
pubblicità 6x9 con le donne nude

(Leopardi, Infinito)


Si sta come d'autunno,
sugli alberi, le foglie
quando tira tramontana
in zona sismica

(Ungaretti, Soldati)

giovedì 14 dicembre 2006

Caro Babbo Natale

Caro Babbo Natale,

sinceramente mi sono un po' rotto: duemila anni fa non ho trovato uno straccio di locanda che volesse accogliermi. Con gli anni mi sono adattato e ho preteso sempre di meno. Ultimamente mi ero abituato a nascere sugli scaffali dei supermercati, ma ora mi hanno cacciato anche da lì. E io che mi intestardisco a tornare tutti gli anni! Ma chi me lo fa fare? E poi dicono che il mondo funziona se hai delle raccomandazioni... Beh, mio padre è un pezzo grosso, uno che conta, ma credi che questo fatto mi abbia in un qualche modo reso più facile la vita? Ti sbagli, anzi, ho l'impressione che me l'abbia complicata non poco. E non penso che sia il solito complesso del figlio d'arte. Comunque bando alle lamentele e veniamo al motivo per cui ti scrivo.

Come sempre ho ricevuto milioni di lettere con lunghe liste di desideri da soddisfare, ma alcune delle cose richieste - se anche dovessi decidere di nascere anche quest'anno - non le abbiamo in catalogo. Ti giro quindi le mail (ti ho copiato solo le righe importanti) e spero che tu possa fare qualcosa.
Per chiarimenti, se vuoi, possiamo anche trovarci in skype; il mio nick è nazar€n0.

Un abbraccio

G.


P.S.: il 7 gennaio, finito il lavoraccio, Beffy ci ha invitato a casa sua per una bella cena. Tu ci vai? Mi passi a prendere?
P.P.S.: Dove porti le renne a far la revisione? Io c'ho il bue e l'asinello che devono fare il tagliando...



> ... e così avrei bisogno di una maggioranza solida. Se non fosse possibile avere
>questa merce rara, allora vorrei chiederti come regalo tanta salute e almeno altri
>quattro anni di vita per Rita L.M.
>...
>Il tuo sempre affezionato Romano



>... lo so, è lo stesso regalo che ti richiedo sempre da 12 anni a questa parte. Ma
>un po' è anche colpa tua. Se ti decidessi a ungermi con un olio che si vede anche
>in televisione, che tutti capissero che è olio mannaggia! Di oliva, di semi, di ricino,
>di raffineria... Qualsiasi olio va bene.
>Ah... fammi il favore di dirmi quando vieni, così organizzo una troupe di Rete4.
>Sai, è una questione di Fede!
>Un caro saluto a te e un abbraccio a quella santa donna di tua madre!
>S.
>P.S.: Cosa dici, come sfondo della cerimonia è meglio Arcore o Macherio?



>... lo so, ti sembrerà una richiesta strana. Ma quella che vorrei non è una semplice
>busta. È una busta molto particolare, di una marca pregiata. Il modello esatto si
>chiama "busta paga".
>Ah, coi tempi che corrono meglio non correre rischi. Lasciala nella mia casella
>postale (codice identificativo: 27delmese) e indirizzala al mio nick: litalianomedio.



>... vorrei un vecchio film con Dustin Hoffman: "il laureato". Mi hanno detto che
>racconta la favola di un laureato che nella vita aveva solo problemi d'amore.
>Sono fondamentalmente una romantica e mi piacciono queste storie
>hollywoodiane completamente fuori dalla realtà.
>Grazie infinite e buon lavoro (Lei che ce l'ha!)
>Cordialmente
>dott.ssa Assunta Mai



>... Ci farebbe gradita sorpresa se volesse perciò riconsiderare alcuni passaggi del
>Suo interessantissimo libro e integrarli nel modo che segue (Le ho aggiunto in corsivo le
>correzioni da apportare):

>"tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa che si chiamerà Santa Chiesa
>Cattolica Romana e avrà sede in Vaticano. Alla tua morte la presiederà l'infallibile
>papa.
"

>"Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli,
>Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda, che poi in realtà erano solo suoi amici, ma lui
>gli voleva bene come a dei fratelli
?"

>

>Come vede sono solo piccole cose rispetto alla mole del Suo libro, ma ci
>risparmierebbe alcuni grattacapi e spiacevoli discussioni.
>
>Con stima e riconoscenza
>Suo Camillo



>Sono la signora Fine Del Mese. Abito in una grande casa al civico 28-31 di via
>Dodicivolteallanno, ma siccome ormai qui da me non ci arriva più nessuno -
>a parte un paio di ricchi snob - volevo chiederLe se fosse possibile essere
> spostata di qualche numero. Penso che il 10 o il 12 bastino.
>Sa, mi sento tremendamente sola...
>...



>Vorrei essere finalmente trattata come tutte le altre. Perché se le signorine Lina
>Ve e Rina Lette sono sempre in televisione io non posso mai andarci? Mi regali
>per favore cinque minuti al giorno di notorietà!
>Cordialmente
>Dec Enza



>Sappiamo che ti ha scritto la nostra vicina di casa, la signorina Enza Dec (che poi
>una volta quelle come lei si chiamavano zitelle: perché quando una non se la fila
>nessuno è una zitella e basta!). L'unico regalo che ti chiediamo quest'anno è di
>non esaudire i suoi desideri, altrimenti qui per noi si mette male e rimaniamo
>disoccupate.
>Ricodati che conosciamo Mora e Corona e se non fai come ti diciamo ci
>impegnamo a far uscire su Novella 2000 la storia di quando sei scappato di casa
>a 12 anni.
>Sicure della tua collaborazione
>Ve Lina e Lette Rina

venerdì 1 dicembre 2006

Volo sicuro



Turi: Hei! Ma come sei conciato? Hai cambiato look?

Sta: Ah, ciao... Look? No, perché?

Turi: Beh, barba incolta, capello unto... Un po' grounge...

Sta: Ah, per quello! No, è che sono stato a Madrid.

Turi: E allora, cosa c'entra?

Sta: Semplice: sono stato un fine settimana a Madrid.

Turi: Sì, ma... e la barba?

Sta: Allora: avevo un volo con un cambio ad Amsterdam, mi segui?

Turi: Certo...

Sta: Ecco, e siccome già un paio di volte nei cambi mi è capitato di prendere sbadatamente un aereo diverso da quello che avevano preso le mie valigie avevo paura che mi succedesse ancora. Sai il casino, no? E tutto per un fine settimana! Allora avevo due possibilità: o prendere una valigia e rischiare di vederla per l'ultima volta, oppure prendere solo il bagaglio a mano.

Turi: E mentre pensavi a cosa fosse meglio ti è cresciuta la barba?

Sta: Ah ma sei duro, eh? Ho scelto di viaggiare solo con il bagaglio a mano e così ho dovuto lasciare a terra liquidi, creme profumi...

Turi: Ho capito, e quindi anche la schiuma da barba...

Sta: ...e lo sciampo e il deodorante e il dentifricio... Per non parlare del rasoio e delle forbicine per le unghie...

Turi: Capisco... In effetti è un problema spinoso. Ma tutto sommato sono restrizioni che si accettano volentieri, se si pensa che lo fanno per la nostra sicurezza.

Sta: Sicurezza 'sto par di balle! Hai visto quello che è successo sugli aerei della British Airways?

Turi: Cosa?

Sta: Beh, sembra che 33000 passeggeri possano essere stati contaminati con del Polonio 210 che qualcuno ha portato dalla Russia in Inghilterra...

Ora io dico: ma se uno si presenta al controllo e c'ha un abottiglia di Dom Pérignon del '62 te la fanno buttare. Se invece dici che c'hai un chilo di Polonio 210, mezzo chilo di Uranio 238 e due etti di Criptonite, ma tutto solido, loro dicono: "Passi pure, tutto ok"!?!

No, ma ti rendi conto? Fra un po' ti lasciano a terra se hai la vescica piena o se hai una leggera sudorazione, ma se trasporti una piccola bomba atomica è tutto in regola! E sai qual è la cosa che mi fa più imbestialire?

Turi: No, cosa?

Sta: Che noi lo accettiamo senza fare o dire nulla. Quello davanti a me ai controlli si è trangugiato una bottiglia di Barbera prima di imbarcarsi perché non voleva buttarlo via. L'hanno ricoverato dopo qualche minuto per coma etilico...

Insomma è uno scandalo e non può andare avanti così, per questo ho deciso di fondare un movimento. Si chiamerà CLDLDADPP.

Turi: Con una sigla così il successo è assicurato!

Sta: Beh, se lo pronunci all'italiana suona già meglio: CiElleDiElleDiADiPiPi: Comitato Liquido Di Liberazione Degli Aeroporti dalla Pazzia Psicotica.

Turi: Interessante. Mi iscriverò di sicuro... Ah, guarda, se vuoi ho già uno slogan per te.

Sta: E sarebbe?

Turi: Cosa ne dici di "Hasta el avión, siempre!"

lunedì 20 novembre 2006

Ciao nonna

Cara nonna, scusa se arrivo tardi. Ti scrivo da lontano, da un posto perso tra le pieghe dei ricordi, dove le immagini di quello che siamo stati assumono tutte una nostalgica patina giallina.


Sono venuto a cercarti qui, dopo un lungo viaggio, ma tu non ci sei. È chiaro, qui, in questo angolo di memoria, rivive il nostro passato, e tu sei nel nostro presente. Quando ci siamo visti la penultima volta era freddo, ricordi? Era il freddo dell'inverno che giunge alla fine di un cammino. Io ti ho salutato e ti ho dato un bacio. E tu mi hai detto sorridendo (e in quel sorriso appena accennato hai condensato lo sforzo di una vita): "Mi devi trattare bene, perché sono l'unica nonna che ti è rimasta". Ed è proprio così. Ho solo te come nonna.


E siccome non voglio perderti, lascia che ti porti con me. Nei miei tentativi maldestri di tirare la sfoglia di improbabili tortelli, nel mio entrare silenzioso in chiesa e prendere posto in fondo, nel mio essere riservato e nel mio non voler disturbare: in tutti questi momenti tu sei con me, in me. Nell'andare incontro alle curve ripide di questa vita con la semplicità di chi sa stringere i denti, con la cocciutaggine di chi ha radici montanare: tu sei con me. Nel mio voler essere sempre un po' selvatico, difficile da addomesticare: lì sei con me.


Non so perché, ma sono venuto a cercarti nella cesta dei ricordi, quando sapevo benissimo che non ti avrei trovato. Perché tu sei là, dove si mette il bene degli altri davanti al proprio, dove si innaffia la terra con il sudore, dove pellegrini spaesati si riposano all'ombra della fede dei semplici, dove la riconoscenza è per sempre, dove l'orgoglio è sano e l'offesa dura lo spazio di un battito d'ali.


Qui, in questa soffitta del cuore, c'è solo una foto di noi due. È una delle prima che abbiamo fatto, sai? Guarda, è una foto di un giorno d'inverno, un giorno di freddo e di neve. È una foto che, a differenza delle tante altre di questo scatolone, ha conservato il colore. È il colore caldo della vita perché ci siamo io e te, lì al telefono, e tu mi dici che mi è appena nato un fratellino. è una foto di venticinque anni fa. E casualmente questa foto è stata fatta in un giorno simile a quello del nostro ultimo incontro, lì tra le prime pieghe dormienti dell'appennino, nel freddo di quella stanza, nell'abbraccio di quel mio ultimo sguardo che ti diceva "arrivederci".


Cara nonna, scusa se arrivo tardi. Ci siamo dati appuntamento e io ho perso l'aereo. Volevo venire a trovarti, ma quando sono arrivato - il giorno dopo quell'appuntamento che avevamo concordato - tu su quel letto non c'eri più. Ti eri alzata, perché una come te non è capace di stare ferma troppo a lungo. Perché una donna come te è fatta per andare. Ti sei alzata e ti sei incamminata verso il nonno. Lui, che andava più piano, è partito prima. Tu, che hai sempre avuto le gambe veloci, gli hai lasciato un po' di vantaggio. Così forse, arriverete insieme.


Ciao nonna!

lunedì 23 ottobre 2006

Note d'amore

Mina


Diceva una vecchia canzone:

E' notte alta e sono sveglio,
sei sempre tu il mio chiodo fisso
insieme a te ci stavo meglio,
e più ti penso e più ti voglio
tutto il casino fatto per averti,
per questo amore che era un frutto acerbo,
adesso che ti voglio bene, io ti perdo.


E mentre ascolto Mina dentro di me e fuori scende la sera, in silenzio, piango.


De Gregori


Il problema, diciamocelo chiaramente, è che tu non ci sei più. Non so perché, ma al mio ritorno da quel maledetto fine settimana a Dresda tu eri sparita. Nel nulla, senza lasciare traccia. E a me hai lasciato una misera chiave che non apre più nulla e una foto di noi due. Da un angolo nascosto del cuore, De Gregori sussurra:

è tutto quel che hai di me

Cerco di distrarmi, ma ogni cosa mi parla di te, come quel carrellino che insieme avevamo trascinato solo pochi giorni prima dal supermercato, pieno di cibarie che ora mi riempiono il frigo e mi occludono lo stomaco. Perché anche loro mi parlano di te.


Ligabue


Ho messo via un bel pò di cose
ma non mi spiego mai il perchè
io non riesca a metter via te

Morandi


Poi, improvviso e violento come un colpo di tosse fragoroso in una platea durante un concerto per pianoforte quando la melodia è "piano" e il ritmo non è "forte", ti ho vista. E il Morandi che c'è in ognuno di noi ha rullato la batteria e ha urlato:

Ti ho vista uscire dalla scuola insieme ad un altro



La rabbia è montata dentro di me; sono quasi impazzito:
Tu digli a quel coso che sono geloso
e se lo rivedo gli spaccherò il muso.


No, non gli spaccherò la faccia, non gli cambierò i connotati, non lo renderò simile ad un Picasso. Sono una persona civile, che diamine!

Lo denuncerò


883


Ho telefonato alla polizia. Ho denunciato quel bruto. Ho detto che lui ti ha rubata a me, che da 18 anni mi appartenevi. Ho raccontato la strada che abbiamo fatto insieme, il nostro rapporto diventato da poco maggiorenne. Mi hanno chiesto cose intime di noi. A fatica ho cominciato a raccontare. Di quante volte ti sono stato sopra e di quelle altre volte in cui, dopo esserci lasciati prendere troppo dalla foga, eri tu a finire sopra di me. Di come spesso nei rapporti facevi cilecca. Di come non avevi quasi mai un freno. Ho raccontato di quelle mille piccole cose che in te non andavano e che io amavo.
Mi sono lamentato: non è possibile che succedano cose del genere, che le forze dell'ordine lascino che ciò accada. Alla centrale della polizia in sottofondo una radio gracchiava:

che volete che sia
quel che e' successo
non ci fermerà
il crimine non vincerà


Baglioni


Mi hanno telefonato poco fa.

"Pronto, qui è il distretto di polizia, per quella denuncia che ha fatto..."

Mi portavano notizie di te. Mi hanno chiesto di descriverti ancora una volta. Ho detto loro che eri inconfondibile. Ti ho descritta in modo così accurato che anche un cieco avrebbe potuto riconoscerti al tatto. Beh, forse con i difetti ho un po' esagerato. Il poliziotto ad un certo punto mi ha chiesto stupito: "Ma se ha così tante cose che non vanno, perché ci tiene tanto a riaverla?". Domanda di uno che non ha mai amato. Cuore arido come la steppa; chiacchiere e distintivo. Non ci vuole mica Baglioni per spiegargli

che lei lei era
un piccolo grande amore
solo un piccolo grande amore
niente più di questo niente più!
mi manca da morire
quel suo piccolo grande amore


Non so se l'ho convinto, ma alla fine mi ha detto: "Allora la sua mountain bike marca Adriatica, anno di assemblaggio 1988, telaio verde evidenziatore sbiadito e le forcelle in sfumo nero, i pedali rotti e cambio Shimano a 18 marce di cui ne funzionano 2, i freni da cambiare, evidenti segni di ruggine, il copertone posteriore ormai senza battistrada e la sella bucata è qui da noi. Può passare a ritirarla in giornata presentando un documento d'identità."

Faletti


glielo dico sinceramente
Minchia signor tenente
.

martedì 1 agosto 2006

Come un film


Ho aspettato una vita che passasse la vita e ho scoperto in morte che la vita era passata...


Come un film. Un film che ho già visto cento volte e che credo di non aver visto mai. Un film che finisce sempre male e che mi illudo che non finisca lì. Come un film.


C'è un film che sembra la pellicola della mia vita. Lo so da tempo eppure non me ne rendo conto. Mi alzo al mattino e mi chiedo cosa verrà e dovrei sapere che il domani lo conosco già da ieri. Da anni. Da un film.


In questo film c'è un gruppo di amici. Gente che cresce insieme e sa che la vita è oltre le regole e a suo modo combatte ogni giorno, con la sfacciataggine di chi sta di là, per non cadere dentro il selciato. Ma la vita avanza e consuma libertà, tempo, gioventù, sogni, vita...


Arriva la guerra, l'assurdo del quotidiano, l'assillo della fine del mese. E si fanno le valigie. E ci si mettono vestiti, libri e documenti, ma si vuol lasciare sempre un po' di spazio per i ricordi, per quello che eri prima, per quello che senti di essere ogni giorno di meno, perché non te lo puoi più permettere. Perché non sono le foto che sbiadiscono, ma tu.


E un giorno arriva il destino, puntuale anche se non lo aspetta nessuno. E si porta via qualcuno. Qualcuno troppo giovane per andarsene. Qualcuno troppo vivo per rimanere.


Gli anni passano, e della vita non rimane che un appuntamento tacito con la grande onda. Una pausa di vita tra le mareggiate, prima di passare anche noi come una cresta d'acqua che si infrange sulla spiaggia. E cominciamo a chiamare sogni di gioventù quello che fino a pochi anni fa chiamavamo "senso" e maturità quello che prima chiamavamo "morte". E ci si annebbiano gli orizzonti e non ci rimane che concederci un onda, ogni tanto, per alzare la testa e tornare a vivere. E risorgere alla vita nel momento in cui la mareggiata ti inghiotte.

mercoledì 28 giugno 2006

Satira o offesa?

Il 27 giugno 2006 nella rubrica Achilles' Spezial dello Spiegel, una delle riviste più importanti della Germania, è uscito un articolo che intendeva prendere in giro il modo in cui la nazionale italiana di calcio si è guadagnata l'accesso ai quarti di finale.

L'articolo, che voleva essere una satira, mi ha profondamente indignato, soprattutto perché vivo in Germania e apprezzo ogni giorno l'apertura e l'accoglienza di questo paese e di questo popolo. L'autore dell'articolo, che dopo una giornata di bombardamenti di mail è stato tolto e sostituito dalle scuse ufficiali della redazione, ha sfruttato una serie logora di pregiudizi sugli italiani che da una parte è offensiva e dall'altra è falsa. Le stupidate più grosse contenute in quell'articolo (gli italiani sono un popolo di parassiti) erano state tolte subito. Ma anche quelle rimaste fino a oggi a mezzogiorno gridano vendetta. Ecco qui i mei commenti.




  • Secondo l'autore dell' articolo l'uomo italiano si chiama Luigi. In realtà Luigi è al 42 posto dei nomi italiani più diffusi: (fonte)
  • La preoccupazione principale dell'uomo italiano è quella di fare il meno possibile e più avanti l'autore aggiunge che l'italiano si stanca alla svelta. Gli italiani lavorano più dei tedeschi (lo dicono i tassi di disoccupazione) e ogni italiano lavora in media 225 ore all'anno in più dei tedeschi (fonte). Chiunque abbia provato a raggiungere un qualche ufficio tedesco un qualsiasi venerdì pomeriggio può confermare, per non parlare del sabato.
  • In ciò (nel non fare niente) lo aiuta la "mama". L'autore dell'articolo ha scritto "La Mama" tra virgolette, quindi intendendo probabilmente usare la parola italiana e ha fatto 3 errori in due parole: due maiuscole che non c'entrano e una doppia che manca. Roba che neanche una casalinga della Volkshochschule...
  • Comunque sia lo aiuterebbe la mamma, che gli lava le calze di semiseta e gli cucina ogni giono la pasta con un bel po' di sugo sopra: ora io non so da dove venga la storia della calze di semiseta, ma quella della pasta dimostra una volta di più che quello l'Italia l'ha vista col binocolo: sono i tedeschi che cucinano la pasta e ci mettono la salsa sopra (cioè non la mescolano), con il risultato che il primo strato di pasta galleggia e quello/i inferiore/i diventano in breve un blocco di ghisa che per mangiarlo ci vuole il coltello. Inoltre gli italiani mangiano la pasta condita con un sugo, in quantità ragionevoli, mentre sono i tedeschi che mangiano il sugo con un po' di pasta (a proporzioni inverse).
  • Verso i trent'anni Luigi cambia cuoca e si sposa. Lo fa per riprodursi. Non c'è bisogno di andare a cercare statistiche: il tasso di natalità italiana è forse il più basso del pianeta.
  • La moglie, un tempo una bellissima italiana, si traforma nel giro di pochi mesi in una macchina da cucina dai fianchi larghi. Beh, qui lascio che siano le donne a rispondere. Lui comunque o non sa cosa sono le macchine da cucina e i fianchi larghi, o non ha mai visto una normale ragazza italiana sposata.
  • Il prode Achille conclude notando come il gesto di Totti di succhiarsi il dito sia tipico dell'uomo italiano. Ha sbagliato. Il gesto tipico dell'uomo italiano si fa effettivamente con un dito, ma non è il pollice, bensì il medio. E non si mette in bocca...

lunedì 26 giugno 2006

Note a margine

"Ho paura! Elena 16-5-91 ore 9.09.50"


Non è l'inizio di un racconto dell'orrore, ma una annotazione scritta a matita in un libro che mi è capitato in mano in questi giorni. Il libro è un glorioso e sofferente esemplare dei "Promessi Sposi", commentati da Sapegno e l'annotazione è a pagina 738, poco sotto la dicitura "Capitolo XXXVII". Ho ripreso il libro in mano per motivi di studio e l'ho riordinato in libreria per un senso di malinconia che mi ha sopraffatto. Le pagine seppiate di questo libro ormai sdrucito mi hanno aperto una finestra sul passato, su quello che ero 15 anni fa.


Tanti segni sparsi e consegnati alla storia lungo quelle pagine: una serie infinita di "ciao" scritti in calligrafie impossibili e adolescienziali, qualche disegno, alcuni tris puntualmente chiusi in pareggio, un accenno di battaglia navale, poi di nuovo cuori e numeri. Qua e là un nome. Di ragazza.


Segni di grafite di 15 anni fa, di quando frequentavo il liceo. Allora, quando scrissi questi frammenti di cronaca scolastica, non lo sapevo che oggi avrei ripreso in mano questo libro. Non lo sapevo, altrimenti ci avrei scritto molto di più. Perché questi graffiti a margine evocano, ma non raccontano. E io vorrei sapere. Com'ero, come erano gli altri. Chi era quella "Francesca" che mi fece disegnare, durante i capitoli della peste, cuori pubertariamente camuffati in composizioni geometriche. Vorrei sapere per cosa Elena aveva paura, quel 16 maggio, dieci secondi prima che scattassero le 9:10. Probabilmente un'interrogazione o un compito in classe. Era Manzoni? O biologia? Matematica? O latino?
Cerco di ricordarmi e metto a fuoco un edificio e una classe. Poi una giornata, quasi un template di giornata di maggio degli anni del liceo: aria frizzantina, cielo azzurro, profumo di freschezza, come la vita a 16 anni...
Vorrei sapere e interrogo il Manzoni. A pagina 667 ho scritto "La vigna di Renzo rispecchia il suo animo e l'umanità intera". Certo non era farina del mio sacco: l'avrà detto la prof. e io me l'ero segnato perché suonava come una di quelle cose che, dette sotto interrogazione, fanno un certo effetto. Ma soprattutto l'ho scritto con la sinistra, in una calligrafia incerta e spigolosa. Avevo un dito steccato? O stavo usando la destra per comunicare con il mio compagno di banco? Non ricordo e mi arrabbio.


Venti pagine più tardi "scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna...". Ho colorato di grigio tutto il passo della madre di Cecilia. A fianco è scritto, con un tratto secco, "a memoria". Rileggo il paragrafo e mi accorgo che quelle righe mandate a mente si risvegliano e mi restituiscono un po' dell'angoscia di quel passaggio. Angoscia non per la povera Cecelia morta o per la madre morente, ma per noi studenti di seconda liceo, che ad uno ad uno sfilavamo in mesta processione alla cattedra a declamare questi passaggi. E se una parola ci scivolava via tra mille sinapsi in tilt per il panico, tornavamo al banco sconfitti e denigrati, come i milanesi di quelle pagine entravano al Lazzaretto. So che ho stramaledetto quella prof. Mi ricordo perfettamente il suo timbro di voce, il modo in cui pronunciava il mio cognome quando mi chiamava alla lavagna: Manzoni, ma anche latino. Che sicuramente era peggio. "Cesare, avendo saputo dagli ambasciatori che, per attaccare il nemico... poiché... siccome... affinché... decise... a marce forzate." Quelle frasi assurde lunghe come le descrizioni del Manzoni. E ancora più inutili. Cinque o sei righe alla lavagna, un periodo, quattordici subordinate, sessanta eccezioni... Il solito voto. Ed Elena annotava tutto nell'interrogometro, su cui veniva segnato il comportamento di ogni prof.: interrogazioni, compiti, domande dal posto, assenze... Ci aiutava a prevedere di che morte saremmo morti. Si entrava al mattino (io tra i primi, per copiare le versioni di latino dal buon Bortolani, la dimostrazione vivente che Garrone esiste) ed Elena diceva: Davide, oggi sei a rischio in Sallustio e biologia. Io sorridevo come chi sa di andare alla fucilazione. E mi chiedevo cosa kazzo ci sto a fare quì.


Continuo a sfogliare. Pagina 114, "Materiale di lavoro". Ho segnato una domanda. Probabilmente era da fare a casa. È il capitolo in cui Fra Cristoforo è ospite da Don Rodrigo e, a tavola, lo attacca frontalmente cercando di convincerlo a desistere dal suo proposito di impedire il famigerato matrimonio. La domanda dice: "C'è chi si è accorto che di quel banchetto si vengono a conoscere le chiacchiere, ma non le vivande. Sarà stata una dimenticanza dell'autore? O ci sarà un'altra ragione?"
Oggi quella interrogativa di 15 anni fa mi fa pensare che il Sapegno è un mago delle domande retoriche e che avrei voluto avere il coragggio di rispondere "Sì, si era dimenticato, prof. E mi dimostri il contrario...". Naturalmente non l'ho fatto (me ne ricorderei, altrimenti...). Ma ho consegnato al mio presente di oggi una chicca di quei miei anni di studio sofferto: a margine ho annotato come risposta: "Anche i logorroici, a volte, hanno bisogno di una pausa."


Quei pochi segni di matita lungo l'epopea dei due giovincelli che, dopo rapimenti, sommosse, arresti, carestie, guerre e pestilenze, il Manzoni neanche li fa accoppiare, sono quello che mi rimane di ciò che sono stato. Quella polvere di grafite che da 15 anni riposa tra le pagine di questo libro è l'unico legame fisico con il me stesso di allora. Che non c'è più, non tanto perché sono passati quindici anni, ma perché non sono capace di legare tra loro i fotogrammi e riempio i buchi con pennellate di colore prese a prestito da una sensazione, da un film, da un'idea che ho di me stesso.
Chissà se Elena è stata interrogata quel 16 maggio di quindici anni fa, quando il mondo girava attorno al nostro banco. E chissà se la prof. l'ha rispedita al posto con un bel 4.


E chissà se saprà raccontarlo a suo figlio.

lunedì 12 giugno 2006

30 secondi di...

Beh, 30 secondi di gloria davanti alla nazione non capitano tutti i giorni... Quindi questa entra di diritto nelle cose da raccontare!

La nostra storia ha un grande protagonista e qualche comparsa. Io sono una comparsa.
Abbiamo appuntamento a mezzogiorno in questo albergo. Lui mi ha contattato una decina di giorni prima chiedendomi se gli avessi potuto dare una mano a fare un servizio da Norimberga, città mondiale di Germania 2006. Ci conosciamo da alcuni mesi. Io l'ho importunato scrivendogli al giornale, dove lui lavora, per chiedergli di venire qui da noi a fare una conferenza. Non ci credevo neanch'io, ma lui ha accettato!

Quando a ottobre, il giorno dopo la conferenza, l'ho riaccompagnato in stazione, lui mi ha detto una frase che avrei voluto rivolgergli io, ma che per pudore non avrei mai pronunciato: "Restiamo in contatto, mi raccomando."

E così alla fine di maggio la sua mail mi ha strappato un sorriso:

...torno a Norimberga il 10 giugno, per registrare una cosa
per la TV per i Mondiali. Mi date una mano? ciao, b.

Ecco come questo sabato 10 giugno sono capitato in questo hotel appena fuori dalle mura cittadine. Lui arriva leggermente in ritardo, accompagnato da Marco e Massimo, addetti alle riprese e alla postproduzione. Si parte a piedi, il centro è solo di là dal fossato...
Marco mi dice: "Fai come se non esistessi", poi mi punta la telecamera contro il mio bel nasone, lui tira fuori un microfono e mi fa una domanda. Io dico stupidate e penso 'sti kazzi fai come se non esistessi'.
Entriamo in città, costeggiamo il fiume e subito ci fermiamo ad una distesa di tavoli all'aperto davanti ad uno dei tanti locali della zona. I tavioli per l'occasione non sono nudi, ma coperti da una poco discreta tovaglia con il disegno di un campo da calcio. Marco l'ha addocchiato da lontano, mentre io fantasticavo dietro un fondoschiena tangato. Ognuno ha la sua vocazione.

Il tempo stringe. Fra un'ora abbiamo appuntamento alla Schwurgerichtssaal, conosciuta anche come sala 600 del tribunale di Norimberga, dove fra il '45 e il '46 non si è solo concluso un capitolo doloroso di storia, ma se n'è anche aperto uno, più carico di speranza, per il diritto internazionale. Chiamo un taxi, a piedi non ce la facciamo più. Dopo dieci minuti la signora Schmidt (non è un nome di fantasia) ci apre i cancelli. Abbiamo un quarto d'ora per le riprese, prima che entri il prossimo gruppo per la visita guidata.
Come in una chiesa entriamo e subito ci mettiamo a parlare a bassa voce. L'assurdità che qui è racchiusa esige rispetto. Alle pareti alcune foto in bianco e nero di quegli ultimi attimi di nazionalsocialismo, fuori un sole impietoso che ci ricorda che quella è storia. Oggi qui, in questa città, i processi che fanno notizia sono quelli sulle partite, consumati da migliaia di tifosi ai tavoli di migliaia di bar e birrerie, davanti ad un boccale di birra. Solo i verdetti sono sempre quelli. Duri. E non conoscono appello.

All'uscita dal tribunale chiamo un altro taxi. Si va al Dokumentationszentrum nel Reichsparteitagsgelände
.
Lui ogni tanto si ferma, si consiglia con Marco su uno sfondo davanti a cui vale la pena dire qualcosa ai microfoni, poi torna con noi comparse e chiacchiera amichevolmente. A me e a V., che siamo i suoi accompagnatori del giorno, rivolge una teoria infinita di domande e noi rispondiamo, attenti a miscelare bene conoscenza e arguzia. Una risposta che gli rimane in mente finisce di sicuro nel suo prossimo articolo o servizio: vanitas vanitatis...

Massimo nel frattempo è disperato. Marco ha raccolto alcune ore di materiale filmato.. Lui lo deve zippare in 5 minuti. Come dice il Liga: "è uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare".

Prendiamo in ostaggio un povero tassista e lo obblighiamo a scarrozzarci attraverso tutta l'area del Dokumentationszentrum. Sessant'anni dopo ci sono ancora orde oceaniche di folli che invadono questa zona, ma oggi la follia è festaiola. Non si osanna ad un imbianchino con i baffetti, ma a 22 giovanotti in mutandoni e maglietta colorata.
Delle trentadue nazioni che sono convinte di diventare campioni del mondo di calcio i più convinti e i più numerosi mi sembrano i messicani. Lui si butta nella mischia. Parla con i tifosi, si propone come improbabile arbitro in giacca scura di un torneo di due contro due under 11, si fa fotografare in mezzo a capannelli di gente che durante l'anno stringe mani di seri professionisti in doppiopetto e oggi non si vergogna a gridare stupidate all'ombra di un sombrero formato famiglia. Io e V. osserviamo un poco in disparte e ci stupiamo come ogni volta che Marco accende la telecamera si accenda anche la pazzia gioiosa dei tifosi. Allegri, ma calmi fino ad un secondo prima, appena vedono un obiettivo cominciano a gridare, cantare, saltellare. Gli sparuti italiani presenti in più salutano e mandano un bacio a casa.

Si riparte. Dopo dieci minuti, saldato il conto di tre ore di taxi, siamo al Marktplatz, in periodo d'avvento terreno di caccia di italiani e americani che comprano inutili assurdità pagandole a peso d'oro tra le bancarelle del Weihnachtsmarkt. Qui c'è la fontana simbolo della città. Peccato che non si veda: l'hanno coperta con una scultura moderna fatta coi vecchi seggiolini dello stadio appena rimesso a nuovo. La gente di qui si è offesa, un po' per lo sfregio a danno di un'opera d'arte, ma soprattutto perché l'autore di cotanto azzardo è un artista di Monaco, cioè un bavarese. E Norimberga, questa è la prima cosa che si impara qui, è in Baviera per un dispetto di Napoleone, non per volere della gente. Sissignori, Norimberga è in Franconia, non in Baviera. Se non siete in un'interrogazione di geografia politico-amministrativa dite così e vi farete molti amici da queste parti.

Dopo pochi minuti arriva anche M.. Lui lo saluta, poi, senza che quasi se ne accorga, lo mette davanti alla telecamera di Marco e gli piazza il microfono davanti alla bocca. Fa alcune domande con una raccomandazione: risposte veloci e non banali. E io di nuovo penso: "'sti kazzi".

Mentre gli altri girano io e V. parliamo con Massimo. Ci spiega la vita che avrà quella cassetta e di quale morte morirà.

Si cambia sfondo, si cambia intervistato. Le domande rimangono uguali. Le risposte, credo, anche.
Ancora un cambio set. Ora sta a V.. Le fanno ripetere almeno tre volte la registrazione, perché delle macchine sullo sfondo hanno scelto il momento sbagliato per passare da lì.

Io mi siedo sui gradini della piazza di fianco alla Sebalduskirche, un po' provato da una giornata di taxi, sole cuocente e mille discorsi avviati, interrotti e ripresi, abortiti e rianimati. Ora sta a me. Mi dicono di rimanere seduto. Il sole cala proprio davanti a me. Lui si piazza dietro alla telecamera e mi dice di guardarlo, poi mi spara la fatidica domanda. Il led rosso è già acceso.


Beh, le mie parole non contribuiranno a formare una nuova Weltanschauung. Ma è stata una gran bella giornata, interessante, istruttiva, divertente. Ho imparato che per fare un minuto di trasmissione ci vuole un'ora di riprese. Per 30 secondi da comparsa basta invece avere i mondiali sotto casa e conoscere il protagonista. La battuta, quella, forse la taglieranno. Tanto non lo sai più neanche tu quello che hai detto.

E questa giornata la racconterò ai nipotini non perché per 30 secondi sono stato davanti alla telecamera, ma perché, per un giorno intero, ci sono stato dietro.

giovedì 8 giugno 2006

Herzogenaurach: una tipica storia tedesca

Adolf Dassler, fondatore della Adidas

Herzogenaurach è un paese di poche migliaia di anime a nordovest di Norimberga, nella Baviera settentrionale. Qui la tradizione calzaturiera ha radici profonde.


E qui un giorno del 1920 un ragazzo di vent'anni inizia a cucire scarpe. Il ragazzo si chiama Adolf Dassler e ha deciso di fare della sua passione, lo sport, il proprio lavoro e si mette a produrre scarpe sportive. Nel giro di poco tempo la sua idea imprenditoriale ha successo. Nel 1923 si unisce a lui il fratello, Rudolf, e nel 1936, alle Olimpiadi di Berlino, moltissimi atleti internazionali e quasi tutti quelli tedeschi gareggiano con calzature della ditta Dassler.


Arrivano gli anni duri della guerra, con la difficoltà di procurarsi buone materie prime e l'obbligo di convertire la produzione: nel 1944 dalle fabbriche di Adolf e Rudolf Dassler escono per lo più sacchetti per il pane e maschere antigas destinate all'esercito.


Con il dopoguerra arriva l'occupazione americana ed è proprio dall'esercito statunitense che giunge il primo grosso ordine che segna la rinascita dell'azienda.


A cavallo tra il 1948 e il 1949 i due fratelli litigano e decidono di sciogliere l'azienda per seguire strade separate: nascono l'Adidas e la Puma.


Le due aziende crescono fino a diventare quello che sono oggi, ma non lasciano Herzogenaurach, anzi, contribuiscono in modo determinante a farne la storia recente.


Herzogenaurach, come quasi ogni città e cittadina tedesca della zona, convive fino all'inizio degli anni '90 con la presenza dei soldati americani. A nord della città le truppe statunitensi hanno infatti occupato una grossa area usata dalla Wehrmacht come base aerea fino al '45 e ne hanno fatto una delle tante basi strategiche di appoggio.


Caduto il muro e finito il pericolo rosso, i soldati americani se ne sono andati (in zona sono rimasti solo a Bamberga e a Schweinfurt) e la grande area delle caserme - chiamata Herzo-Base è rimasta abbandonata. È stata l'Adidas, alcuni anni fa, a rilevarne la proprietà. Un giorno su quell'area sorgerà la sede mondiale dell'azienda.

martedì 6 giugno 2006

CI prepariamo al via!

Per preparare il mondiale si lavora senza sosta fino all'ultimo...

Signori si parte...


Due giorni ancora e poi sarà un mese mondiale.
I tifosi arrivano qui in Germania da ogni angolo del mondo e il popolo tedesco li accoglie con teutonica ospitalià al motto di Zu Gast bei Freunden che significa una cosa come Ospiti da amici.


Per ora lo spirito d'amicizia non scalda certo gli animi dei milioni di tifosi giunti qui per adorare il pallone: da due settimane di notte abbiamo rischio di gelate e in questa pazza estate mondiale Bodenfrost è certamente uno dei primi vocaboli da imparare...

giovedì 18 maggio 2006

Un grido scandalizzato allo scandalo

Questo articolo è stato pubblicato dalla rubrica Italians del Corriere della sera in data 20 maggio 2006




Da assoluto non appassionato di calcio devo confessare che quello che sta succedendo in questi giorni mi procura un certo piacere.


Ma non è di questo che vorrei parlarvi, quanto piuttosto della reazione del nostro paese all'ennesimo scandalo. Come tre lustri fa Tangentopoli, ancora una volta è scoppiato lo scandalo e tutti ora fanno gli inorriditi.


Ma io penso: abbiamo avuto Tangentopoli e sappiamo come è andata a finire. Abbiamo avuto la Cirio, la Parmalat, la Popolare di Lodi, l'Unipol ecc... e sappiamo come è andata a finire. Abbiamo avuto ogni anno (almeno da quando so leggere) notizie di concorsi truccati, di appalti irregolari, di evasioni fiscali clamorose. Abbiamo avuto Totonero, scommesse illegali, doping, commissariamenti di decine di federazioni sportive e enti locali. Abbiamo avuto Gladio e giornalisti in quota alla P2. Abbiamo avuto un presidente del consiglio morto in esilio, uno che ha avuto rapporti piuttosto stretti con esponenti di primo piano della mafia e uno che per non finire in carcere ha rivoltato la giustizia come un calzino. Abbiamo avuto Piazza Fontana e una lunghissima litania di stragi impunite. Finanza, pubblica amministrazione, istruzione, cultura, sport, giustizia, salute... e l'elenco potrebbe continuare ore... E quello che sappiamo dire ora è solamente che il calcio è malato! Ma che modo fariseo di giudicare la realtà è questo? Siamo noi, un popolo intero che riempie le valli di questo Stivale in mezzo all'acqua sempre in procinto di affondare, che siamo malati. Come si fa a credere, con la storia che ci portiamo dietro, che si tratti di fenomeni isolati? Siamo un popolo che ha la verginità nel cuore e la furbizia nella mente e ci stupriamo a metà strada, ogni volta che apriamo la bocca per gridare scandalizzati allo scandalo.


Come faccio io a credere che ci sia un settore in questo paese dove veramente si gioca con delle regole che tutti rispettano?

mercoledì 12 aprile 2006

Voto degli italiani all'estero: due o tre considerazioni

Sono stati gli italiani all'estero a decidere il risultato delle elezioni. Essendo io uno di questi, mi sento di fare alcune considerazioni:




  • Apoliticità del voto: la legge elettorale intendeva in origine togliere valore politico al voto all'estero, per questo il premio di maggioranza alla camera viene dato a prescindere dai risultati dell'estero. Il fatto che la stessa legge prevedesse un premio di maggioranza regionale per il senato ha però ridato (e in maniera abnorme) valenza politica al voto dei nostri connazionali sparsi per il mondo

  • L'affluenza al voto: gli italiani d'Europa hanno una percentuale bassa di voto. Credo non sia per disinteresse, ma per vicinanza. Molti hanno deciso di tornare a deporre le schede nel proprio comune di iscrizione AIRE per dare valore politico al proprio voto e per non vedersi costretti, volendo esprimere il proprio parere, a dare una cambiale in bianco a gente spesso mai vista e mai conosciuta (su alcune liste estere si potrebbe scrivere un pezzo da cabaret).

  • La destra ha fatto male i conti: il centrodestra sperava in una incetta di voti (soprattutto al senato, dove i più giovani non votavano) all'estero, credendo che l'identikit dell'elettore italo-estero medio fosse quello dell'emigrante di prima generazione legato indissolubilmente al verbo della chiesa e ai valori propri di uno schieramento conservatore. Io credo che queste persone abbiano fatto scarso uso del loro diritto di voto. Cosa che hanno fatto invece, massicciamente, tutti gli italiani all'estero per scelta (a cui evidentemente l'Italia di B. non piaceva), che amano la propria terra, non escludono di tornarci e si augurano una svolta per i loro amici e parenti che ancora ci vivono.



Io sono uno di quelli tornati. Il mio voto non è stato decisivo al senato (anzi, avendo votato in Emilia, è stato ininfluente...), ma lo è stato per la camera, se è vero che solo 25mila voti hanno fatto la differenza.
Di fronte a quanto detto, due conclusioni: la generazione di italiani all'estero per scelta è e vuole rimanere legata al proprio paese (a proposito, grazie per le dirette televisive!). Credo sia giusto riconoscergli la possibilità di votare. Non capisco perché lo si debba fare con una legge assurda per non dire ridicola, quando ogni altro paese civile ha istituito il normale voto per corrispondenza.

domenica 2 aprile 2006

chi vincera le prossime elezioni...

Ho preso una sfera di cristallo e ci ho guardato dentro. So come andrà a finire, ma andiamo con ordine...


Sabato 8 aprile


Ultimo giorno prima delle votazioni: tutti i politici dicono di rispettare la tregua concordata; in realtà però, per deformazione professionale, tutti fanno il contrario di quello che hanno promesso. Bossi fa un comizio lungo le rive del Po. Ad ascoltarlo ci sono Borghezio e Calderoli, più 17 indiani di solito dediti a tenere dietro al bestiame. Questi ultimi sembrano non cogliere la differenza.


Prodi invece compare a sopresa in un cinema durante la rappresentazione de "Il caimano". Siccome è un cinema "romano", il pubblico ideologizzato e sinistroide riconosce un palese conflitto d'interessi e copre di fischi il professore; Moretti lo schiaffeggia. Berlusconi invece fa capolino in TV a "i bellissimi" di Rete4. Si è fatto tatuare su una tetta della formosa Folliero. Grazie alla non eccelsa statura del suddetto la scollatura della Folliero è stata mantenuta nei termini di legge.


L'UDC, dal canto suo, ha organizzato una fumata in Piazza San Pietro. Ufficialmente è per ricordare il rito della fumata bianca e ribadire l'attaccamento del partito alla dottrina della Chiesa, ma i pochi presenti si ricredono quando vedono Follini comparire con una nuova acconciatura molto rasta.


Naturalmente anche i colonnelli di AN hanno organizzato una manifestazione di tutto rispetto per concludere la campagna elettorale. Purtroppo Fini non si vede. Si scusa La Russa dicendo che Gianfranco non lo sapeva. Un militante con tricolore al collo chiede stupito: "Fini non sapeva di questa manifestazione?" E La Russa un poco scosso: "No, Gianfranco non sapeva che ci fosse la campagna elettorale."


Domenica 9 aprile


Il popolo italiano è alle corde, questa campagna elettorale di 12 mesi lo ha sfiancato. I cinesi hanno inventato un nuovo gioco con cui stanno facendo i milioni: si tratta del darTv, un piattello da freccette semitrasparente da attaccare al televisore per martoriare la faccia del politico più odiato durante estenuanti dibattiti. Tra una partita e l'altra il popolo va a votare. Alle cinque della sera gli esperti lanciano un grido di allarme: rispetto alle consultazioni precedenti ha votato un 20% in meno. Subito dopo dal Viminale arriva la spiegazione: Il ministro dell'interno ha ricevuto sul suo cellulare 4 milioni di televoti via sms. Per smistare le preferenze alle varie circoscrizioni elettorali di competenza ci metterà un mese.


Lunedì 10 aprile


Le redazioni delle tv e dei giornali si preparano alla lunga notte dei conteggi. Pisanu nel frattempo è stato ricoverato in ospedale per una presunta infiammazione al tendine del pollice destro dovuta a messaggiamento selvaggio. Mentre la RAI non parla dell'accaduto, Canale 5 mette in piedi una diretta di 2 ore spiegando che si tratta di una figura istituzionale. Conduce in studio Raffaella Carrà, che dopo due tentativi non riusciti di intervistare il telefonino del ministro in qualità di ultimo testimone lascia imbufalita lo studio. Ad un certo punto in ospedale compare anche Manuela Folliero. Un pensionato ha giocato a darTv proprio mentre lei presentava "i bellissimi" e ha centrato il berluscon-tatuaggio sulla sua tetta, che di conseguenza si è sgonfiata. Della perdita è stata subito infomata la protezione civile. Bertolaso ha detto che la nube è sotto controllo, ma che la popolazione farebbe meglio a non uscire di casa per le prossime due settimane.


Ad urne quasi chiuse Ruini fa irruzione in RAI e tiene un discorso a reti unificate (a dire la verità manca RAI3: Di Bella difende il portone cantando "Avanti popolo". Ruini ha mandato a cercare un esorcista). Il destro Camillo (per par condicio bsogna qui aggiungere "con sguardo sinistro") si rivolge al suo gregge per annunciare che il Vaticano ha dichiarato guerra all'Italia. Le guardie svizzere hanno già portato assedio al Quirinale. Ciampi ha tentato di farla Franca, ma una borsettata in testa della presidenziale consorte gli ha fatto cambiare idea. In un servizio di Rai3 si vede chiaramente come il presidente, indossati di nuovo i panni del valoroso partigiano, risponde al fuoco nemico. Nel fervore del momento si lascia scappare un tuonante e minaccioso grido di guerra: "Morte ai pisani!" Le guardie svizzere, confuse, indietreggiano.


Nel frattempo si chiudono le urne. Tutto tace. Tutto? Non proprio. Ad un seggio ci sono ancora dieci km di coda. Milena Gabanelli scatena la sua redazione per palesare lo scandalo. Si scopre che dal mattino un non vedente è chiuso in cabina elettorale con il suo accompagnatore, un povero obiettore di coscienza, il quale gli sta leggendo i nomi dei partiti e dei candidati della scheda elettorale. Alla chiusura dei seggi, dopo dieci ore di lettura ininterrotta e 18 bottiglie di acqua, l'obiettore è arrivato a circa tre quarti. Il presidente di seggio chiede l'intervento dell'esercito per assistere la gente in fila, cosa che mette in seria difficoltà l'obiettore, il quale chiede rinforzi alla Caritas.


Nel resto del paese, però, lo spoglio continua. Fede in tv ha preparato le sue bandierine. Chiede all'inviato al Viminale se può cominciare ad attaccare quelle blu. "Purtoppo no" è la risposta del giornalista "bisogna aspettare ancora un po'". Il TG3 continua il suo speciale dal Quirinale assediato. Mentre Carlo Azeglio sgambetta da un'ala all'altra del palazzo, le guardie svizzere tentano di sfondare il portone, ma proprio in quel momento Dio in persona si reca in Vaticano a protestare per l'ingerenza della Chiesa Cattolica nella vita dello stato Italiano. Per l'occasione Ratzinger iterrompe la celebrazione della santa messa. Sul suo volto si nota una certa soddisfazione: si è fermato prima di dover pronunciare l'odiata frase: "Pacs in terra hominibus bonoe voluntatis". Essendo la primissima visita di Dio in Vaticano, il papa e Ruini richiamano di corsa le loro truppe in Piazza San Pietro per accogliere con gli onori di stato l'Altissimo. Ciò viene riportato prontamente anche dal prode Mannoni, inviato del TG3. Bondi invia perciò un sms di protesta alla Commissione di vigilanza RAI: "la par condicio vieta di parlare di Altissimo. Se lo si fa bisogna nominare anche il bassissimo".


Di Bella, nel frattempo, si è lanciato in una versione jazz di "avanti popolo", accompagnando al piano Luca Cordero di Montezemolo e Paolo Mieli. Si vede subito però che il rosso della ferrari di Montezemolo è di un'altra tonalita rispetto al rosso della bandiera sovietica. Mieli stecca in continuazione e si vede che non sa il testo a memoria. Dopo una strofa viene sostituito con Della Valle.


Alle 4 del mattino la polizia arresta l'obiettore di coscienza che accompagnava il cieco. Dopo la lettura delle liste il non vedente ha espresso il desiderio di non votare per lo schifo che gli facevano i nomi presenti. L'obiettore di coscienza gli ha tagliato la giugulare con la matita copiativa.


Alle 5:37 del mattino lo spoglio è finito. Abbiamo un vincitore. Mentana manda la pubblicità. Chi cambia canale è un buffaldino. Dopo la pausa i contendenti principali vengono di nuovo chiamati sul palco. Ognuno ha la possibilità di riesibirsi prima del verdetto finale. John Travolta, a bordo del suo jet, minaccia di schiantarsi contro l'altare della Patria, che un decreto del presidente della repubblica ha trasformato in monumento a Montanelli, per l'incredibile somiglianza con la sua Olivetti Lettera 32. La pubblicità nel frattempo è conclusa; riprende la pausa informativa: dal Viminale arriva finalmente l'agognato risultato. Lo consegna ai giornalisti Gerri Scotti, vestito da letterina (Canale5 accende in questo momento il bollino rosso). Fede chiede a Pisanu dall'ospedale di commentare in diretta il momento. Il collegamento viene disturbato dal continuo rumore del cellulare del ministro che continua a ricevere televoti. Ad incoronare il vincitore viene chiamato Modigliani. Si apre la busta e il vincitore è... Peccato! la mia sfera non lo mostra: c'è uno con un'enorme gobba che mi copre la visuale.